Accadde un pomeriggio, buio come la notte,
Che trasudava calda da tutte le fogne rotte.
Nel cielo poche stelle curavano l’evento,
La luna stralunata guardava con sgomento
Le auto sulle strade, portate in processione
Da quella lama d’acqua torbida, marrone.
Dalle finestre urlava la gente spaventata
Di Genova Settanta, Genova annegata.



Si fece appena in tempo a sputare la paura,
A liberare il cane e scappare sulle alture
Con l’anima in riserva, le facce rese uguali
Dal cielo che cadeva, cassato dagli Annali.
Il parroco invocava la volontà divina,
Col fango sulla veste. Puzza di latrina.
Qualcuno bestemmiava, andando alla deriva,
In quell’autunno pazzo Genova soffriva.



A Genova che dormiva, col mare sullo sfondo,
Durante quella notte le si è rovesciato il mondo.
Sfollati in osteria, incerti del ritorno,
Aspettavamo svegli il miracolo del giorno.
Mia madre mi accudiva, tenendomi per mano,
Mio padre masticava l’ultimo toscano
E mentre non capivo lo scherzo del destino
Chissà perché pensavo a Gesù Bambino.



Quando arrivò il mattino, ma senza fare giorno,
Fu tutta in bianco e nero la strada del ritorno,
Dove le barricate chiudevano le piazze,
Nel fango i gatti morti e topi di cento razze.
Così fu che scopersi, finito il temporale
In mezzo alle macerie, il dono di Natale.
Il mio maestro disse «Dai suona una pavana»,
Nel fango una chitarra di Bellafontana.